TRENO DELLA MEMORIA 2019
diario di viaggio
Liceo Statale “E. Fermi” Cecina
Giorno 1 – SUL TRENO
“La Shoah è dimenticata ogni volta che smettiamo di trarne domande sul presente. La testimonianza è uno strumento fondamentale, ma non può essere solo questione di testimoni, è una questione dell’intera società, un peso da condividere.” Con queste parole Liliana Segre ha cercato di sottolineare come occorra trasferire il “peso” della testimonianza di generazione in generazione se davvero si vuole imparare qualcosa dalla tragedia della Shoah. È con questo spirito, quello dei testimoni di una storia vissuta da altri ma che è nel contempo nostra e di tutti, che ci accingiamo a intraprendere il viaggio che ci porterà nei luoghi dell’orrore: a Birkenau, ad Auschwitz, in un’intera regione polacca adibita a partire almeno dal ’42 a luogo di sofferenza disumana e di sterminio industriale. Il treno che ci accoglie non assomiglia ai carri bestiame dentro cui venivano ammassati uomini, donne e bambini, che già forniva una prima occasione di selezione dei più deboli; noi abbiamo il riscaldamento, gli scompartimenti con i letti, il cibo, abbiamo gli incontri con i rappresentanti delle comunità perseguitate e con gli storici, abbiamo soprattutto l’entusiasmo di chi non prova su di sé il peso dell’esclusione e l’incognita di un destino fragile, precario, ignoto. In un treno pieno di ragazzi è importante anche stringere amicizie, parlare assieme e, sì, persino ridere o scherzare. Sappiamo che ci aspettano ore e giorni in cui la nostra giovinezza sarà gravata dal peso dei destini rubati, delle vite finite in fumo e allora sarà inevitabile fare i conti con “il peso della testimonianza” che abbiamo voluto caricarci sulle spalle intraprendendo questo viaggio. Vorremmo condividerlo, tale peso, coi lettori de “Il Tirreno” che avranno la buona volontà di leggere le parole che racconteranno la nostra esperienza. Noi non siamo giornalisti di professione, ma cercheremo di coinvolgerli comunque, di trasmettere loro emozioni e riflessioni. Perché la memoria del passato non sia solo una ricorrenza da onorare ma una lezione da vivere.
“Un giorno, una frase” – Giorno 1 – SUL TRENO
Sara Mariotti: Partire e non sapere cosa provare, questa volta la destinazione è un po’ diversa. Ancora non so cosa provare, ma sicuramente quello stupore che di solito si prova frequentando un luogo questa volta sarà totalmente diverso.
Mattia Cipolla: Viaggiare su questo treno è bello, vedi tutto ciò che ti passa accanto, non come in aereo. E poi conosci un sacco di nuove persone, ci scambi esperienze e ne fai di nuove. Interessante.
Alice Carugi: Ho già fatto qualche viaggio, ma nessuno di questi aveva richiesto tanto tempo per arrivare a destinazione. Pensare di aver trascorso queste ore ridendo e scherzando con gli altri, mentre milioni di persone, purtroppo, hanno dovuto affrontarle in condizioni terribili, con il timore o addirittura la consapevolezza di non fare ritorno, mi fa sentire colma di fortuna e, al tempo stesso, di responsabilità. Responsabilità nei confronti di una tragedia e di un dolore che non voglio si ripetano.
Linda Zhou: Una stessa meta. Siamo così simili. Così ingenui. Partiamo preparati ad essere impreparati. Ci perdiamo nei sorrisi di chi sa, non saremo mai realmente pronti.
Noemi Chesini: In questo treno sono salita che sapevo dove mi avrebbe portato ma non sapevo cosa avrebbe portato dentro di me. Un treno dove persone sono salite senza sapere dove sarebbero finite, senza sapere che sarebbe arrivata la loro fine e non quella di un viaggio. Noi oggi proviamo a viverci questo treno come non potesse avere la stessa fine di atrocità.
Giulia Sandri: Avevo già viaggiato per così tante ore, ma mai per una destinazione così importante. Le emozioni sono tante e le più belle devono ancora arrivare.
Lorenzo Benucci: Un viaggio della speranza e dell’orrore che ha visto milioni di persone andare in pasto al razzismo, all’odio. Un viaggio che lascia riflettere e che incute paura, paura che tutto ciò possa riaccadere. Il conforto sta nel ricordo, nella memoria; l’unico criterio che rimane per preservare gli insegnamenti che la storia, purtroppo, ci ha lasciato.
Giacomo Giomi: È la prima volta che viaggio in treno per così tante ore. Non è male. Non è il massimo della comodità, ma non mi lamento. Non ho il diritto di lamentarmi. C’è chi questo viaggio l’ha fatto in un vagone merci, come bestie verso il macello.
Giorno 2 – BIRKENAU
Poi ti svegli la mattina alle cinque, nel buio ovattato di bruma, la terra scura rappresa dal ghiaccio, le betulle avvolte di bianco, e ti accorgi di non essere a casa. Cominci a sentire il peso di percepirsi estranei sul suolo straniero, estranei e perseguitati se solo provi a immedesimarti nelle vittime che hanno avuto questa come ultima destinazione. Vittime non di una guerra, né di una rappresaglia, ma di un disegno metodico volto alla loro eliminazione sistematica e totale. Poi ti imbatti nell’orrore.
Una porta che ti ingoia come la bocca dell ‘inferno, e distese sterminate di recinzioni elettrificate, di baracche, di macerie. Il gelo ti si blocca in gola, ma non si tratta solo del freddo: sai di calpestare un sacrario anomalo, un mausoleo dedicato all’indicibile, che pure lì ha trovato asilo. Silenzio bianco. Resti di camere a gas, forni crematori; l’ospedale dove operava Mengele; la Sauna dove si perdeva il nome e si diventava un numero; la rampa col vagone in legno, quella rampa calpestata dalle masse di derelitti avviati all’annientamento come a una meta inesorabile, senza scampo se non per un capriccio del caso. Birkenau è il volto della Medusa che ti lascia di pietra di fronte al male; un male estremo, mai solo folle o banale, un male umano.
“Un giorno, una frase” – Giorno 2 – BIRKENAU
Linda Zhou: Un brivido che attraversa ogni muscolo, ogni fibra, ogni cellula, dalla testa ai piedi. Indelebile. Indimenticabile.
Alice Carugi: Birkenau, con il suo assoluto silenzio, potrebbe sembrare il posto più calmo del mondo, eppure si percepiscono grida ovunque.
Giulia Sandri: Un grande silenzio, questa è la prima grande cosa che mi ha colpita e che non mi aspettavo. Il freddo che avevamo noi coperti con maglie termiche e tutto l’occorrente mi ha fatto riflettere molto sulla condizione disumana in cui quelle povere persone erano costrette a vivere.
Giacomo Giomi: Cielo grigio, neve piatta e betulle. Il monocromatismo uccide.
Lorenzo Benucci: Loro non hanno avuto la possibilità di scegliere il proprio destino. Noi possiamo e dobbiamo permettere ad ognuno di costruire il proprio futuro.
Noemi Chesini: C’è chi dice che in un gruppo come noi, di otto, ne rimanevano in due, che accanto c’erano posti vuoti e tu li guardavi. Mi chiedo se il vuoto si possa guardare, se il silenzio si possa sentire. Quando entri ad Auschwitz è quello che fa rumore, le parole che quelle persone non hanno potuto dire, i giorni che non hanno potuto affrontare, tutte le paure che hanno dovuto sentire e che ti senti dentro come fossero tue.
Mattia Cipolla: L’esempio perfetto che il viaggio è il modo migliore per imparare. Forse, dopo essere stati là dentro, stiamo diventando in grado di realizzare appieno.
Giorno 3 – AUSCHWITZ E I TESTIMONI
Di questa giornata intensa al Lager di Auschwitz I abbiamo deciso di non raccontare la visita ai blocchi museali, con le stanze invase dalle montagne di capelli, dai mille occhiali dalle mille fogge, dai cumuli di scarpe scolorite, scompagnate, da estate, da inverno, da poveri, da ricchi; né parleremo dei vestiti dei bimbi, dell’Auschwitz Album o dell Höcker Album, del Memoriale ebraico coi suoi milioni di nomi di vittime scritte sul libro sterminato o del muro della morte. Vorremmo, invece, ricordare l’incontro pomeridiano coi testimoni, ormai pochi, di quel passato che non deve passare. Delle sorelle Andra e Tatiana Bucci, deportate a Birkenau ancora bambine; due bambine che si salvano dopo aver vissuto per mesi nella più grande fabbrica di morte pensata e costruita dall’uomo; oggi due anziane signore che instancabilmente ripercorrono il loro inferno con l’intento di rendere le nuove generazioni consapevoli del passato e responsabili del presente. Di Marcello Martini che, ormai impedito a sopportare la fatica del viaggio, ci ha dedicato le sue parole di riflessione; lui che è stato deportato politico adolescente nel campo di concentramento e di sterminio austriaco di Mauthausen e che al Treno della memoria ha sempre aderito con disponibilità. Di Vera Vigevani Jarach, che a novant’anni è capace di trasmettere l’energia di una sempiterna giovane, l’energia che smuove dall’indifferenza e indigna di fronte a ogni sopruso, a ogni tentativo di furto di quella libertà in nome della quale è stata costretta a emigrare in Argentina dopo la promulgazione delle leggi razziali, diventando qui madre di una desaparecida durante la dittatura di Videla. E vorremmo ringraziare Enrico Fink per la sua arte in bilico tra letteratura, cinema e testimonianza; soprattutto perché, rievocando il racconto di G. Bassani e il film omonimo di Florestano Vancini “Una notte del ’43”, ha saputo descrivere la tragedia dei suoi familiari sottolineando la verità ancora oggi scomoda della responsabilità diretta degli italiani nelle stragi e nella deportazione. Una giornata, questa, che ci ha passato il testimone della storia affinché da qui cominci la nostra parte di impegno.
“Un giorno, una frase” – Giorno 3 – AUSCHWITZ E I TESTIMONI
Lorenzo Benucci: Il campo di sterminio di Auschwitz è ciò che, insieme alle testimonianze dei sopravvissuti, permette il ricordo, la memoria del terribile sterminio nazifascista. Le dichiarazioni dei sopravvissuti e dei deportati hanno reso la visita delle baracche, delle camere a gas e dei forni crematori più toccante e suggestiva. Quando queste prove, purtroppo, verranno meno, mancherà la concezione di ciò che è successo e si tratteranno tali argomenti con banale superficialità.
Mattia Cipolla: Ora, quello che so è che per capire basta una camicia, e per stare male basta il disegno di un bambino. Per rimanere segnati invece basta venire qui, e per realizzare tutto ciò niente è sufficiente. Al contrario, quello che ancora non so è come sia possibile che volontà e sentimenti che hanno generato tutto ciò siano sempre presenti tutt’ora tra noi, anche se ciò fosse in una sola persona. Penso che ciò sia un derivato dell’ignoranza, perché ritengo impossibile che ciò accada di fronte alla conoscenza reale, all’esperienza o all’educazione. E perciò ora capisco finalmente quanto ci sia un’utilità vera, tastabile ed umana dietro al viaggio.
Alice Carugi: Auschwitz, prima di un luogo di morte, è il posto dove l’umanità è stata annientata in ogni sua forma. Ciò che infatti colpisce di più sono tutti quegli oggetti della quotidianità, da scarpe a vestiti, che più di ogni altra cosa caratterizzano l’uomo. Vedere cumuli di oggetti apparentemente tutti uguali, ma che in realtà erano propri di singole persone diverse, è agghiacciante.
Il dolore a causa di una costrizione ad una disumanità spietata è riassunto nell’attimo di silenzio e nelle lacrime impossibili da scacciare di Andra Bucci, mentre raccontava la propria storia. Tuttavia, l’umanità riaffiora nella carezza della sorella Tatiana.
Noemi Chesini: C’erano capelli, scarpe, oggetti di bambini. C’erano delle valigie vuote come sono diventate i loro corpi una volta entrati lì. C’erano testimonianze, persone che con la forza si sono riempiti il corpo di giorni migliori. C’erano le emozioni, quelle che non ti toccano solo il cuore ma lo scuotono, che te lo trapassando come pallottole e che non vogliono lasciarti ma continuare a propagarsi grazie a te.
Giacomo Giomi: La cosa che più mi ha colpito è la forza dei testimoni, uomini e donne che portano, ognuno a proprio modo, una ferita indelebile. Ma che hanno la forza di riaprirla ogni volta per mostrare il loro dolore e noi giovani, speranza del futuro. Le loro parole e le loro lacrime sono inestimabili.
Giulia Sandri: Sentire le voci tremanti dei testimoni è stato toccante, poterli ascoltare è stato speciale e sicuramente in esperienza unica. Vedere all’interno del museo di Auschwitz quelle montagne di capelli, di scarpe, di occhiali… credo sia stata una delle esperienze più toccanti del viaggio.
Sarà Mariotti: Oggi ho vissuto la memoria. Si percepiva come aria fredda nei polmoni. Ogni luogo, immagine, oggetto, riusciva a rendere quest’aria ancora più ghiacciata. Una massa infinita di capelli, filo spinato ovunque, vestiti, foto, testimonianze. Come si può ancora oggi negare tutto quello che è accaduto?
Linda Zhou: Quando l’inaspettato incontra il surreale. Quando la sorpresa si fonde con lo spavento. Quando la genialità è anche follia. Quando ogni emozione è una debolezza. Quando l’uomo perde la sua umanità.
Ultimo giorno
Il viaggio sta per terminare. Nell’ultimo giorno abbiamo visitato Cracovia, partecipato al “Citizen’s dialogue” presso l’Auditorium dell’Università Jagellonica con i testimoni, il Presidente della nostra Regione, il Vice-presidente della Commissione Europea Frans Timmermans e tanti studenti universitari. Vorremmo, tuttavia, ricordare le parole con cui ci ha salutato Ugo Caffaz, instancabile organizzatore del Treno: ” Ragazzi, si dice sempre che il passato serve per il futuro. No, non è così: il passato serve soprattutto per il presente, perché non c’è futuro per chi nel presente non si è impegnato al fine di reagire a ogni ingiustizia. Il presente siete voi, sono le vostre vite di tutti i giorni. Andate e spargete i semi di questa esperienza affinché germoglino e diano frutti, quelli della consapevolezza critica, della solidarietà e della pace”. È e sarà un impegno importante, ma soprattutto lo sentiamo come un dovere imprescindibile. Oggi – nel presente, appunto – assistiamo a tutta una serie di episodi preoccupanti: la fiducia ingenua con cui ci si affida all’autorità di un uomo forte; il rancore e la rabbia prodotte dalla crisi economica e che si riversano sui presunti colpevoli, gli ultimi, i diseredati, quelli che non possono difendersi; l’incapacità di prendere le distanze critiche dalle “verità” che viaggiano sui binari liquidi del web, semplificate, distorte, di parte, incattivite, violente; l’attitudine umana a reagire a tutto questo chiudendosi nel privato, a rivendicare piccoli privilegi egoistici, a praticare quell’indifferenza che in ogni tempo tra tutti i mali è il peggiore. Il passato non ritorna, non almeno con le medesime evenienze, non eguale a se stesso. Ma le dinamiche dell’odio, dell’esclusione, della segregazione e, sì, anche dell’eliminazione sono facilmente riconoscibili e, nel tempo, si ripresentano, differenti ma sempre uguali. Occorre individuarle quanto prima, denunciarle, combatterle e noi ci impegneremo a farlo. Per restare umani, per sentirci davvero portatori di un ideale di umanità che ci renda orgogliosi di farne parte.
“Una frase, un giorno” – Ultimo giorno
Giacomo Giomi: Questo viaggio è stato un pellegrinaggio. Deve essere così, la memoria è una cosa troppo importante per ridurre questa esperienza a una semplice gita scolastica. Ci vuole preparazione, sensibilità, rispetto, silenzio. Non basta vedere. Bisogna percepire tutto. Quando abbiamo visitato Birkenau, mi è sembrato di stare in una fotografia: eterna e statica, la tomba immutabile dell’umanità. La storia la sappiamo, per quanto questa sia oscena e crudele. Bisogna farsi impressionare da tutto in questo viaggio, in modo da riflettere poi su quello che è successo spinti dall’emozione. È importante riflettere per non commettere gli stessi errori. Sappiamo dove si va a finire in questo caso: è fondamentale fare di tutto per non arrivarci.
Giulia Sandri: Quando sono partita mi sono chiesta più volte quale sarebbero state le emozioni che avrei provato o quale sarebbe stata la cosa che mi avrebbe emozionato più di tutte, arrivata alla fine mi rendo conto che le emozioni che ho provato principalmente sono stupore e angoscia: la prima perché ovviamente entrando in posti come quelli non puoi che rimanere sbalordito, la seconda perché ascoltando le testimonianze, vedendo le immagini e i numerosi “reperti” nel museo puoi sentire in prima persona il dolore e le mille sofferenze di quelle vittime. È stata sicuramente un’esperienza indimenticabile che mi ha cambiata e che porterò sempre con me. Voglio infine aggiungere che grazie a questo viaggio ho compreso ancora meglio il significato della memoria perché, per citare Primo Levi, “è accaduto e può ancora accadere”.
Alice Carugi: Prima di partire per questa esperienza, mi era stato detto che sarei tornata sconvolta. In realtà, ciò non è accaduto. Certo, non sono state giornate leggere e spensierate, tutto quello che abbiamo visto e ascoltato mi ha toccata profondamente, ma non sono rimasta scioccata: in fondo, erano cose che, giustamente e fortunatamente, avevo già letto sui libri di scuola e non. Piuttosto, ho affrontato questo viaggio con coscienza, come se fosse l’opportunità per dirmi “Okay, tutto questo è accaduto davvero e deve essere in qualche maniera affrontato.” Perciò, non sono rimasta paralizzata di fronte all’ingresso di Birkenau o alle foto dei deportati, bensì ho cercato in me il modo per dare un senso ai resti della tragedia che avevo davanti ai miei occhi. La risposta è arrivata l’ultimo giorno, con il “Citizen’s dialogue”. Lì, ho compreso che la memoria di quanto accaduto non debba portarci soltanto a piangere le vittime, ma soprattutto deve far scattare in noi quella reazione necessaria per costruire il presente di cui siamo protagonisti. Il nazismo ha comportato esclusione, razzismo, violenza, morte e prevalentemente una chiusura della Germania all’interno dei propri confini. Quindi, per me, la risposta è l’Unione Europea, la sola organizzazione internazionale in grado di abbattere tutto ciò. L’UE non deve essere più intesa come mera cooperazione economica, ma come l’Unione degli Stati capace di sconfiggere le ingiustizie del mondo. Oggigiorno, i lager esistono ancora, sono in Corea del Nord per gli oppositori politici e in Libia per i migranti. La storia, che non dovrebbe ripetersi, si sta già ripetendo e noi, come molte persone si sono nascoste dietro l’indifferenza anni fa, andiamo avanti impassibili, senza trovare una vera soluzione. Perciò il ricordo dell’Olocausto non deve esauristi in se stesso, ma deve essere la spinta per risolvere, a livello internazionale, quanto sta accadendo intorno a noi, adesso.
Noemi Chesini: Pensavo che questa esperienza mi avrebbe sconvolto, non c’era nulla di nuovo lì, non c’era proprio nulla, solo il vuoto, le macerie, dei resti di qualcosa che è stato distrutto; milioni di vite. Non c’era nulla di nuovo lì perché l’odio siamo abituati a vederlo spartito nei giorni nostri ma serve a questo, riconoscerlo, identificarlo, distinguerlo nella quotidianità in cui viviamo. Serve a questo, non accettarlo, non renderlo qualcosa di normale, non assimilarlo come parte di noi ma cercare di giudicarlo con pensieri consapevoli. Serve a questo, conoscere la storia e usarla come base per ogni nostra decisione per scegliere un mondo che non retroceda ma che sappia essere migliore di fronte agli sbagli già commessi. Un mondo che sia clemente con chi in passato è stato accusato per aver amato e creduto in qualcosa di diverso, per essere stato diverso da standard ingiustamente imposti da chi fomentava l’odio e l’annientamento. Un mondo che sia all’altezza di ideali che possano valorizzare l’identità di ogni persona che ci sta all’interno; me, te, la tua famiglia, tuo figlio.
Linda Zhou: Certi momenti della vita non li potrai mai dimenticare, sono quegli attimi in cui senti di provare qualcosa che non hai mai provato. Sono quei pochi secondi, minuti, in cui capisci che hai ancora tanto da imparare. Il nostro non è stato un semplice viaggio di 5 giorni, è stato IL viaggio. È unico, perché porta con sé emozioni uniche. Ti insegna a sentire col cuore, a capire con la mente. Ti sorprende. Ti spaventa. Rallenta il battito del tuo cuore. Sono stati giorni duri, giorni freddi. I brividi non smettevano di percuotermi, per il gelo dell’aria, per il distacco dell’uomo. Certe cose non le puoi comprendere fino in fondo, puoi solo conoscerle. Quei campi rappresentano la disumanità dell’uomo. Ho immaginato l’aria irrespirabile, impregnata delle ceneri dei morti. Vedevo intorno a me solo i resti della bestialità del genere umano. Mi sono sentita così piccola, quasi insignificante. Stavo affondando nell’oceano imperturbabile dell’uomo. Questo viaggio mi ha fatto capire che ognuno di noi può fare qualcosa. Insieme possiamo impedire che qualcosa del genere possa riaccadere. Solo insieme. Uniti nel sentimento di solidarietà e amore per l’umanità. Siamo parte di una cosa sola, non roviniamola. Non uccidiamola. Non uccidiamoci.
Lorenzo Benucci: Sono arrivati al termine questi cinque giorni. Tempo passato a riflettere, conoscere e a ricordare. Prima di partire non avevo ben chiaro di che cosa si trattasse questo viaggio se non di una semplice visita e commemorazione dei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. In realtà, si tratta di un viaggio nel passato accompagnato da testimonianze e storie di sopravvissuti; è un viaggio di crescita personale e devo dire che mi ritengo fortunato ad aver avuto la possibilità di affrontarlo. Il progetto ha assunto in realtà un aspetto molto interessante, più generale, affrontando temi quotidiani, di attualità: infatti nell’ultima giornata è stato portato avanti un ampio dibattito che partendo dal racconto della storia delle sorelle Bucci ha poi interessato argomenti come le politiche europee e tutti quei problemi che sono collegati ad esse. Questa esperienza non può risultare fine a se stessa, ma deve stimolare ed essere come punto di partenza per un impegno di tutte le persone e di tutti i ragazzi nel rispetto della memoria, intesa come metodo, affinché tutto ciò che di drammatico e crudele la storia ci ha proposto non si ripeta ma serva ad un’evoluzione e ad una crescita morale ed etica della società. Spero vivamente che la Regione si impegni a mantenere attiva questa iniziativa e che sempre più provi a coinvolgere il maggior numero possibile di partecipanti. Questo perché molte persone, che spesso e purtroppo rappresentano la maggioranza, sviluppano ideali e pensieri basandosi su una superficiale e banale conoscenza del mondo, della storia. L’unica strada per combattere l’ignoranza è lo studio e la valorizzazione del mondo e del suo passato nella consapevolezza che sia guida del presente.
Sara Mariotti: Non sono mai stata brava con le parole, tuttavia l’esperienza che io e gli altri ragazzi abbiamo vissuto è ancora più difficile da spiegare, difficile ma necessaria. Ho preferito partire senza aspettative, facendo sì che le emozioni arrivassero in modo del tutto naturale, così è stato. Oltre alle informazioni in più che ho appreso, ricorderò per sempre tutte le percezioni; i piccoli paesini dal finestrino, le punte dei piedi gelate, le torri d’avvistamento ricoperte dalla brina che curiosamente assomigliavano a quelle dei bagnini, i canti ebraici, quelle stanze vuote ma che emanavano un senso di soffocamento, una massa infinita di valigie, foto, lacrime nascoste, lacrime di liberazione. Adesso ho una visione del mondo più ferita di prima ma consapevole, anche grazie a tutti i confronti che ho avuto con le altre persone e tutte le testimonianze. Come ci ricorda P. Levi “Comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Mattia Cipolla: Siamo a Verona sul treno e si è quasi concluso il viaggio. O meglio, si è concluso lo spostamento, perché ogni viaggio non finisce mai, ma perdura nei ricordi del viaggiatore, e questo lo farà in particolar modo, ne sono sicuro. Le visite nei campi, le testimonianze e il museo, gli spettacoli, il passato che si unisce e collega al futuro con la discussione con Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione Europea, sono un’opportunità enorme per cercare di far capire. A chi? A chi pratica l’odio, chi discrimina, perché siamo noi che abbiamo avuto questa possibilità e siamo noi ad avere il dovere di diffondere il verbo. Noi avevamo un hashtag, #vivilamemoria, ed è per questo che siamo stati lì, perché il male non vada perso, le lacrime non siano state versate invano, ma anzi siano ciò su cui fondare una consapevolezza ed una felicità futura.